L’itinerario B è costituito dai sentieri n. 5 e 7. Il sentiero n. 5 si diparte dal parcheggio di Coste Zighidì e, dopo una lieve discesa, raggiunge la Valle del Monastero caratterizzata dai vigneti da cui si ricava il famoso Passito. Si inerpica fra la macchia mediterranea di leccio, corbezzolo, lentisco cisto ed altre specie, fino ad arrivare alla Grotta del Bagno Asciutto. Molto interessanti i fenomeni di vulcanismo secondario che ci attendono. La grotta del Bagno Asciutto, con i suoi vapori sempre più caldi all’inoltrarsi nell’antro, ci regala una sauna naturale. Il nome della grotta è significativo: potremo fare il bagno senza l’acqua. Il percorso ci porta verso le antiche colate laviche. Le specie di flora più semplici hanno colonizzato le colate di roccia lavica e da queste poi man mano si sono avute le specie più evolute. Più a valle si presenta la coltivazione agraria, il vigneto, delimitato dalle forme geometriche dei muretti a secco, che dividono le proprietà e riparano dal vento. Più avanti ci stupirà la Favara Grande, nella Valle del Vento, notevole fenomeno di vulcanismo secondario, il più significativo dell’Isola. II sentiero 5 si collega poi al sentiero 7, presso il parcheggio di Rekale, che immette nella Valle del Monastero. Siamo nel paesaggio agrario. In nessun altro luogo del mondo esistono coltivazioni come quelle praticate a Pantelleria. Le viti non possono e non debbono crescere in altezza, perché il vento le danneggia. Il vento è un elemento presente e costante su tutta l’isola. Ecco che le piante sono mantenute striscianti, se non addirittura entro conche. Solo a Pantelleria troveremo piante di Ulivo alte 50 cm. Per coltivare un Arancio od un Limone è necessario costruire una torre in pietra a secco: il Giardino Pantesco. Non appena le coltivazioni sono abbandonate, ecco si inselvatichiscono, come si può notare in più tratti. Il sentiero ci riporta al parcheggio di Coste Zighidì. L’itinerario B, lungo 8,5 Km, ci porta a contatto con il contrasto fra l’ambiente vulcanico e l’ambiente coltivato e ci fa apprezzare l’immane lavoro degli agricoltori locali che da secoli strappano e mettono a coltivazione spezzoni di terreno.